Giudicato e decreto ingiuntivo in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto: nota a sentenza N. 22465 del 24/09/2018 , Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza del 24/09/2018, (ud. 23/05/2018, dep. 24/09/2018), n.22465 – CRISTIANO Pres. – CAIAZZO Rel – sul ricorso proposto dagli eredi di V.C. avverso la sentenza n. 2104/2014 emessa dalla Corte d’appello di Milano, depositata il 06.06.2014
“Il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio”
La presente nota intende analizzare gli effetti della pronuncia della Cassazione in tema di giudicato e decreto ingiuntivo, in mancanza di opposizione o qualora lo stesso giudizio di opposizione sia stato dichiarato estinto.
Nella epigrafata sentenza, la Suprema Corte veniva investita della cassazione della sentenza n. 2104/2014 emessa dalla Corte d’appello di Milano, depositata il 06.06.2014.
In primo grado, gli eredi di V.C. chiamavano in giudizio la Deutsche Bank, chiedendo al competente Tribunale di Milano la condanna della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente percepite, a titolo di interessi anatocistici e commissioni di massimo scoperto, relativamente al rapporto di conto corrente intercorrente tra questa ed il de cuius.
Successivamente alla notifica della citazione, l’istituto di credito otteneva l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti degli attori-eredi per il pagamento del saldo negativo del medesimo rapporto di conto corrente. Immediatamente, gli eredi si opponevano al decreto de quo contestando la sussistenza del credito. Ad esito della conclusione di un accordo transattivo relativo al suddetto giudizio di opposizione, in virtù di cui gli opponenti si impegnavano a pagare alla banca una certa somma a saldo, con conseguente stralcio dei residui crediti per capitale, interessi e spese, veniva abbandonata la causa di opposizione.
Nel giudizio di restituzione, poi, il Tribunale accoglieva la domanda attrice, condannando la Deutsche Bank al pagamento della somma di Euro 286.835,00 oltre interessi legali.
La banca, a sua volta, proponeva appello, identificando quale preliminare ed assorbente motivo di inammissibilità della domanda la sussistenza di un incontrovertibile giudicato relativo al credito in discussione. La Corte d’appello di Milano, dando ragione all’istituto di credito, accoglieva l’impugnazione, dichiarando, per l’appunto, le domande degli eredi precluse dalla formazione giudicato relativo al decreto ingiuntivo opposto. Nello specifico, la parte motiva del dictum del secondo Giudice di merito, sanciva che l’estinzione del giudizio di opposizione aveva determinato il giudicato circa l’accertamento delle ragioni di credito fatte valere dalla banca in relazione al rapporto di conto corrente intercorso con il de cuius, con conseguente intangibilità del conto stesso conseguente all’estinzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Avverso tale pronuncia i soccombenti proponevano ricorso per cassazione affidandolo a due motivi. In primo luogo, i ricorrenti lamentavano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex. multis artt. 2909,1418 e 2033 c.c., artt. 324,653,181,307,308 e 309 c.p.c., art. 24 e 111 Cost., considerata la sentenza della Corte Costituzionale n. 425 del 17.10.2010 in ordine al D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 3), in quanto, a loro avviso, la competente Corte d’Appello avrebbe dovuto tenere conto di quell’orientamento in virtù del quale il giudicato formatosi nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ha portata ed effetti diversi da quelli inerenti ai giudizi a cognizione piena e non si estenderebbe alle questioni non dedotte ma deducibili, anche considerando che l’azione di ripetizione dell’indebito per interessi anatocistici era stata basata su un fatto nuovo, costituito dalla modifica normativa successiva al giudizio d’opposizione, a seguito dell’intervenuto e nuovo orientamento dettato dalla Corte Costituzionale. In secondo luogo, gli eredi denunciavano la violazione e falsa applicazione degli artt. 36,112,324 e 653 c.p.c., art. 2909 c.c., artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui il Giudice di secondo grado aveva erroneamente ritenuto il giudicato preclusivo pur non avendo gli attori proposto una domanda, nel giudizio estinto, ma solo eccezioni rispetto alla domanda della banca convenuta.
La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto infondati entrambi i motivi di ricorso.
In primis ha ritenuto applicabile al caso di specie il generale principio di diritto in forza del quale il giudicato sostanziale coprirebbe il dedotto ed il deducibile in relazione al medesimo oggetto; pertanto, lo stesso concernerebbe non solo le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono presupposti logici, essenziali e necessari, della pronuncia (in senso conforme: Cass. Civ. n. 25745/17); ne consegue che, con specifico riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, ove non sia proposta opposizione, questo acquisterebbe efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio (Cfr. Cass. Civ. n. 28318/17).
Dalla citata giurisprudenza si evince dunque che, nel caso concreto, il giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo involgerebbe anche le questioni che i ricorrenti avrebbero potuto proporre nel giudizio di opposizione come diritti deducibili, in quanto fondati sul medesimo rapporto di conto corrente: pertanto, la Corte dichiarava il secondo motivo di ricorso assorbito.
Più specificatamente, a nulla rilevava che la legge sul divieto dell’anatocismo fosse successiva all’inizio del rapporto oggetto di causa, non costituendo ciò un limite alla preclusione derivante dal giudicato. In altre parole, dal momento che la sentenza della Corte Costituzionale n. 425/10 – che ha dichiarato l’incostituzionalità del D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 3 – è stata emessa dopo l’estinzione del giudizio d’opposizione, dunque, successivamente alla formazione del giudicato sugli interessi anatocistici, non può dunque esplicare alcun effetto sugli stessi.
Alla luce di quanto esposto e, sulla base delle norme applicabili in materia, la Cassazione è giunta ad affermare il principio di diritto indicato in epigrafe, rigettando il ricorso con condanna dei soccombenti delle spese del giudizio.
Dott.ssa Giovanna Vetere